pubblicato il 04/02/2023
Rispetto ai decenni scorsi, oggi lo studio dei materiali e delle tecniche di tinteggiatura delle antiche superfici architettoniche ha compiuto notevoli passi avanti insieme ad un corrispondente recupero di manualità ‘tradizionale’. A questa maturazione operativa, tuttavia, non s’è accompagnata un’analoga maturazione di tipo concettuale né un’adeguata considerazione specifica del nuovo e urgente ‘problema del colore’ come questione di rilevanza urbana. Da qui anche l’introduzione, nella riflessione in materia, di concetti tratti dal campo della fisica tecnica, come quello di ‘strato’ o ‘superficie di sacrificio’, trasferiti in ambito conservativo senza un’adeguata mediazione.
Sovente si è esercitata una singolare quanto parziale idea di restauro e manutenzione che, isolando l’edificio dal suo contesto e allontanandosi dalla più generale riflessione in materia, ha finito col favorire una linea di vero e proprio ‘ripristino’ nei casi migliori, di ricoloritura disinvolta, più o meno all’antica, negli altri. [...] Le conseguenze di tutto ciò sono piuttosto gravi, tanto da mettere a rischio la stessa consistenza storica e le qualità documentarie degli edifici così restaurati. Accanto a tanti cattivi esempi, non ne mancano di buoni come il caso, cui si fa riferimento nel titolo, del Palazzo degli Ambasciatori a Roma, opera dell’architetto Gino Coppedè.
da recmagazine158_marzoaprile2020 > https://www.recmagazine.it/magazine/158.html