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UN MONDO AL CONTRARIO
Il CTU è un professionista di straordinaria importanza perché costituisce gli “occhi tecnici del giudice” che sentenzia in base al tipo, caratteristiche e considerazioni che questi emette nelle sue perizie. Per questo motivo deve sapere cos’è il restauro degli edifici storici quali sono i concetti teorici di base, come si sviluppa la conoscenza preliminare dell’edificio e quindi come si articola ed estende il progetto di restauro.
AN UP SIDE WORLD
The CTU (the technical expertise), is a very important figure since represents the "technical eye of the judge" who will determine the verdict based on its considerations of the characteristics of its final report. For this reason, the CTU must know what restoration of old buildings is. The CTU must be prepared about the basic theoretical principals behind a restoration project, how to develop a final project and how to extend it.
‘Ma cosa c’entro io?’ ho risposto al Prof. Jurina quando mi ha invitato a parlare al convegno di ingegneria Forense tenutosi al Politecnico di Milano l’anno scorso.
‘Ma cosa c’entro io?’ Mi hanno risposto gli ingegneri, gli architetti e i docenti universitari che ho chiamato a partecipare a mia volta alla seconda edizione del Seminario Treviso Forensic, che si terrà il prossimo settembre appunto a Treviso.
Ognuno ha risposto più o meno così: “ma io sono architetto e mi occupo di tutela, di progetti di restauro, di riuso, di conservazione; io sono ingegnere e mi interesso di consolidamento di strutture storiche, di lettura e analisi della statica nelle apparecchiature pre-moderne; io insegno il restauro, il mio compito è formare gli studenti o gli specializzandi …”. E tutti, proprio tutti, hanno messo le mani avanti avanzando un cortese ma fermo rifiuto. Per tutti il restauro architettonico in ambito forense non è il loro campo professionale, non li riguarda, qualcuno ha sì avuto delle esperienze, che però ha quasi (volutamente) dimenticato.
In effetti, sono tutti studiosi, professionisti specializzati nel restauro, operatori che si cimentano con i propri progetti o controllando quelli elaborati da altri, e nessuno di loro, se non ne è proprio costretto, è stato mai attratto da cause, ricorsi, contenziosi o dal porsi come CTU per dirimere litigi.
Se si è fortunati nella vita professionale si riescono a evitare gli avvocati, ma succede a pochi… Invece i contenziosi, e quindi i meandri di quello strano mondo dove l’architettura è intesa al rovescio, dove cioè si parte dalla fine per ricavare lo stato iniziale, purtroppo riguarda tutti noi direttamente o indirettamente. E’ un professionista per così dire inverso quello specializzato nell’ambito forense, perché la maggior parte delle volte studia l'edificio in senso antiorario, ossia ad intervento avvenuto, per risalire al progetto, da questo alle analisi condotte e finisce con il rilievo dello stato di fatto prima dell'intervento. La normalità è invece partire dallo stato di fatto, elaborare rilievi e analisi per ricavare la sintesi e quindi il cantiere.
E’ però un professionista di straordinaria importanza perché costituisce gli “occhi tecnici del giudice” che sentenzia in base al tipo, caratteristiche e considerazioni che questi emette nelle sue perizie. Per questo motivo il CTU deve sapere come si sviluppa nel senso corretto, ossia in senso orario, lo studio e il progetto su un edificio storico. Il che non è poca cosa perché, se è banale dire che è molto diverso progettare un condominio o una villetta da un restauro di un complesso storico stratificato, non sempre sono chiari i concetti di fondo che guidano la progettazione del restauro e di come le scelte operative siano sempre pesantemente condizionate da questi concetti.
Per valutare con scienza e coscienza, il CTU deve quindi saperne di cultura del restauro, dei criteri complessi che guidano la progettazione, come quello dell’autentico e del falso, quelli della compatibilità e della prevaricazione; egli deve saper valutare la differenza tra conservare e riprodurre e tra demolizione e rimozione. Deve capire il metodo e i livelli della conoscenza preliminare al progetto di restauro, che è fatta di moltissimi approfondimenti, a volte utili e a volte superflui, che danno qualità e giustificano le scelte tecniche; deve essere cosciente che spesso negli edifici complessi sono necessarie numerose specializzazioni che non devono essere lasciate libere ma devono essere guidate, finalizzate e rese tra loro coerenti.
Il patrimonio culturale pretende questa capacità nei progettisti e a maggior ragione da chi è chiamato a valutarne l’operato.
Riflettere sulle conseguenze delle conclusioni di un tecnico che affronti una CTU privo di questa cultura significa riconoscere che è indispensabile da subito rimboccarsi le maniche e lavorare assieme. Come può arrivare a delle valutazioni sensate e di livello elevato, entrando nel merito delle scelte culturali e tecniche, se ha la formazione del progettista del nuovo o di chi progetta strade, ponti o solai in calcestruzzo e ignora il mondo del restauro degli edifici storici, le sue metodologie di progetto? se non conosce i materiali premoderni che costituiscono l’ossatura del patrimonio e le particolari tecniche di conservazione?
Quindi dopo un breve confronto tutti i relatori invitati hanno cambiato idea. Si sono resi conto che è quasi un dovere mettere a disposizione di chi opera in quel mondo inverso la propria specializzazione, la ricerca che ognuno conduce nei propri istituti e le conoscenze acquisite nel restauro di trincea, quello cioè di tutti i giorni. Il mondo forense è stato forse troppo crudamente fotografato da una delle massime autorità in materia come generalmente inadeguato e di livello non soddisfacente; e in quest’ambito si può immaginare la piccola nicchia del restauro monumentale e architettonico quali difficoltà abbia per trovare referenti specializzati.
La genericità e la preparazione spesso lacunosa degli ingegneri e architetti consulenti del giudice è stata rilevata addirittura come il ‘problema dei problemi’ da Nicola Augenti, Presidente dell’Associazione italiana di Ingegneria Forense, al convegno IFCRASC17 svoltosi al Politecnico di Milano l’anno scorso. Con tono quasi drammatico, che per onor di bandiera spero sia eccessivo perché esistono tanti bravi professionisti che conducono con grande dedizione il loro operato, ha rilevato nella sua relazione generale che: “In campo giudiziario, va preso atto che la condizione di coloro i quali esercitano le funzioni di CTU o di perito dell’Autorità Giudiziaria è assolutamente disastrosa, oltre che umiliante. Tale situazione dipende, in parte dalla pletora di tecnici privi di qualunque preparazione specifica, che continuano a svolgere tale ruolo fondamentale per la Giustizia (essenzialmente su base clientelare e utilizzando tale settore professionale al pari di un “ammortizzatore sociale”). I magistrati che, nella maggior parte dei casi, irresponsabilmente nominano ausiliari privi di competenza tecnico-giuridica, si sentono legittimati a mal-trattare i propri consulenti (sotto tutti gli aspetti) con l’alibi che “valgono poco” ... di tale situazione è la Giustizia a soffrirne piuttosto che gli ingegneri”.
Ora, se dall’interno dell’ingegneria forense uno dei massimi esponenti rileva questo quadro è legittimo chiedersi a che livello sia la preparazione necessaria per entrare nel merito specifico del restauro architettonico e ciò perché, come in tutti i campi professionali, gli interventi sulle preesistenze storiche sono attività particolarmente complesse sia che siano finalizzate alla tutela e alla valorizzazione sia che siano relative al restauro e al consolidamento di strutture sia che riguardino la gestione amministrativa e contabile di strutture o materiali storici. Questo mondo, oltre ad un metodo e ad una cultura particolari, richiede un linguaggio unificato, una sensibilità diversa dal progettare il nuovo, che non si acquisiscono seguendo un manuale ma studiando e dedicandoci pensiero e riflessione per anni.
Il workshop che si terrà il prossimo settembre a Treviso propone una discussione sugli argomenti che di seguito illustro non tanto con lo scopo di formare in un pomeriggio i partecipanti, o di risolvere i problemi di alcuno, ma di dimostrare che il restauro parte da presupposti diversi dalla progettazione architettonica o da quella strutturale, necessita di consulenti che conoscano il metodo con il quale si progetta, ha diversi criteri di valutazione rispetto al progettare nuove forme o strutture e, quindi, lo si può affrontare solo se si possiede quella cultura, quel metodo progettuale e quella particolare sensibilità. E quest’ultimo aspetto è un argomento particolarmente ostico soprattutto per gli ingegneri, che per loro natura vivono all’interno delle norme e in base a queste giudicano il mondo dell’architettura; molto spesso, infatti, nel restauro sono la sensibilità e la cultura a guidare il restauratore verso soluzioni che la norma non controlla o non regola in alcun modo, e qui le difficoltà aumentano.
Ad esempio, in un caso di restauro delle superfici esterne di un edificio, dove il contenzioso verteva su alcune macchie in facciata, il CTU mi ha richiesto la scheda tecnica degli intonaci … “ma - ho risposto - sono intonaci del 700! Ho fatto il discialbo e il consolidamento in profondità, e poi limitati rappezzi con cocciopesto e grassello di calce con uno strato di finitura in marmorino tenuto leggermente sottosquadro”. Dopo innumerevoli incontri, il CTU ha poi ritenuto legittimo l’intervento di conservazione e rappezzo piuttosto che il rifacimento con malta certificata, naturalmente previa demolizione, ed ha quindi ritenuto che la sensibilità del restauratore fosse legittima, sebbene l’immagine esterna dell’edificio non risultasse unitaria ma disomogenea, che era oggetto di contenzioso.
Si può dire sia stato un caso felice ma cosa poteva capire un ingegnere abituato agli intonaci dei capannoni o a quelli dei condomini seriali in c.a.? Come si può chiedergli di capire questi e altri casi? È indubbiamente difficile il restauro! Non ci si può arrivare tramite scorciatoie.
L’esempio dimostra che vi è la necessità di divulgare un metodo progettuale che consenta a tutte le figure coinvolte in un procedimento riguardante il costruito storico in ambito forense di dialogare tra loro con concetti e cultura comuni, e di conoscere e riconoscere quelle procedure che la cultura specifica del restauro ha da decenni individuato come basilari.
Pur nella singolarità di ogni intervento, perché ogni edificio è diverso dall’altro, ogni invecchiamento è singolare e le tecniche di conservazione o consolidamento che sono adatte in un caso sono eccessive in un altro, il metodo progettuale e le modalità di sviluppare analisi e progetto è ormai da decenni definita e richiede di rendere tracciabili le scelte e le soluzioni tecniche adottate in fase esecutiva per poter risalire ad intervento completato allo stato originario.
Penso quindi che cercare di fornire i rudimenti della cultura, del metodo e delle modalità operative del nostro mestiere non significhi correre il rischio di essere banali ed è questo lo spirito che anima i colleghi che nei vari ruoli contribuiscono al seminario che si terrà a Treviso. La volontà è quella di mettere a disposizione fatti, opinioni e criteri dei quali i relatori hanno esperienza e che possano servire ad altri per entrare nel complesso mondo del restauro con maggiore cognizione di causa; e chissà che anche qualche CTU non subisca il fascino dell’edificio antico che ha folgorato, chi più chi meno, tutti noi!