articolo
La sintesi è più faticosa dell’analisi
Perché scrivere un manuale sul restauro architettonico? In questo campo le soluzioni tecniche, sulle quali in genere puntano i manuali, non sono sempre tutte valide o compatibili ma possono essere adatte o prevaricanti a seconda delle caratteristiche costruttive degli edifici e del loro stato di conservazione; per questo motivo è necessario un loro uso accorto e filtrato dalla cultura. Un mero abaco di tecnologie indipendente dalle condizioni nelle quali si trovano strutture e finiture dell’edificio sarebbe utilizzabile da chiunque, diventerebbe così uno strumento indipendente dalla cultura e dalla specializzazione del tecnico, cosa profondamente sbagliata. In questo settore specialistico, invece, la qualità risiede proprio nella specializzazione e nella cultura.
Is more challenging than deep analytics
It is not possible to write a manual on architectural restoration since the technical solutions the latter offers, very often, are not relevant and compatible with all the buildings. For this reason it is important to have the cultural understanding to recognise the best solutions.
everyone would find it useful to use a list of technologies independent from the structural conditions of the building. Yet this would become a separate instrument from the culture and the technical specialisation and therefore wrong.
In this field excellence is related to culture and specialisation.
Ho finito. Non volevo scrivere un manuale, perché sono fermamente convinto che nel restauro si possa dare un indirizzo di metodo, una traccia culturale da seguire per mettere in fila analisi, diagnosi e sintesi, si possano fornire degli indirizzi teorici e pratici per rendere coerente l’idea che uno si fa del restauro con lo sviluppo della conoscenza e con la progettazione ma non sia possibile racchiudere in un unico lavoro tutta l’anatomia degli edifici storici, le alterazioni che ognuno può subire e i rimedi per il consolidamento e la bonifica.
Nel restauro architettonico le soluzioni tecniche, sulle quali in genere puntano i manuali, non sono sempre tutte valide o compatibili ma possono essere adatte o prevaricanti a seconda delle caratteristiche costruttive degli edifici e del loro stato di conservazione; per questo è necessario un loro uso accorto e filtrato dalla cultura.
Un mero abaco di tecnologie indipendente dalle condizioni nelle quali si trovano strutture e finiture dell’edificio sarebbe utilizzabile da chiunque, e quindi indipendente dalla cultura e specializzazione del tecnico, cosa che ritengo sia profondamente sbagliata. In questo settore la qualità sta proprio nella specializzazione e nella cultura.
Non volevo scrivere un manuale anche perché sintetizzate in circa 150 pagine una materia complicata, ricca di riferimenti esterni alla filosofia, alla storia dell’arte e dell’architettura, alla critica, alla scienza dei materiali e delle strutture, alla chimica, alla fisica, ecc. si corre il rischio di farsi del male.
Certo, siamo nell’era della comunicazione rapida e non più in quella dell’espressione tramite la scrittura, che possiede altri tempi e altri ritmi; viviamo immersi in un’epoca nella quale la superficialità domina sull’approfondimento e, quindi, l’immediata e facile sequenza foto-grafica vince sui contenuti del testo e della parola scritta, che è invece faticosa, necessita di riflessione a volte profonda e sicuramente è più difficile da consultare.
Oggi, tutti noi privilegiamo la sintesi veloce, spesso foto-grafica, alla lettura che comporta approfondimento e riflessione, e questo vale per quasi tutti i campi del sapere. Così viene ormai naturale, sia per il soggetto che compone sia per il lettore che lo esamina, fornire massima importanza al valore evocativo degli schemi che danno soluzioni pratiche, all’esempio tramite le immagini fotografiche, che sono facili da sfogliare in sequenza e sono veloci da trasferire nei propri progetti, perché nessuno ha più tempo, ed è questa una modalità semplice perché ‘copi e incolli’, accarezzi con lo sguardo e non ti fermi ad approfondire.
Qualche decennio fa tutti noi avremmo giudicato un manuale sul restauro architettonico superficiale e quasi irriverente nei confronti di un argomento così complesso e profondo; sarebbe stato visto un po’ come presuntuoso, perché avrebbe preteso di sostituire con una sintesi estrema l’articolazione teorica e scientifica degli argomenti.
Oggi siamo tutti mutati e ognuno di noi preferisce scorrere sul telefono, sul tablet o sul proprio pc immagini che forniscono soluzioni; siamo convinti che queste possano sostituire l’approfondimento che ci fornisce un testo, che possano bypassare la fatica di approfondire, di studiare o di capire il nostro agire e di descriverlo tramite qualche pagina. Anzi, molto spesso i testi, anche se brevi, quasi infastidiscono perché vengono visti come corpi estranei in un mare che si vorrebbe solo di immagini. Così, la comprensione delle cose e il sapere rischiano di perdere progressivamente la propria forza.
Ho ritenuto quindi necessario premettere alcune riflessioni che ribaltano l’organizzazione usuale di un manuale: la prima si riferisce a quei concetti importantissimi che aiutano progettisti ed esecutori ad un utilizzo critico delle tecniche e che sono i concetti di autenticità materica e di stratificazione storica, che danno i limiti del progetto, che inquadrano le scelte e con i quali bisogna avere coerenza.
La seconda è relativa a come va condotto il processo logico della progettazione, dalla conoscenza preliminare fino all’esecutivo, e come questo debba articolarsi in elaborati nelle sue molteplici fasi.
La terza è che tutti sappiamo che non esiste un edificio uguale ad un altro ed è noto anche che due edifici apparentemente uguali e costruiti all’incirca nella stessa epoca arrivano all’oggi con forme diverse di degrado e dissesto, subiscono interventi manutentivi e di riuso in parte o del tutto diversi. Pretendere di unificare e rapportare queste realtà specifiche e singolari a dei modelli teorici di riferimento o a schemi, com’è natura dei manuali, è un processo di astrazione e semplificazione che non è applicabile a nessun contesto storico architettonico, che è fatto di individualità e non di modelli.
Una ulteriore riflessione sta nella profonda differenza tra un progetto di restauro architettonico e qualsiasi altra progettazione dell’architettura. Il primo si attua e si verifica nella sua concretizzazione operativa in cantiere, ed è proprio il cantiere che dà la misura della qualità del progetto, dell’attendibilità delle analisi e della conoscenza preliminare; il cantiere è lo specchio della coerenza tra assunti culturali e scelte operative, mette in luce il controllo dei dettagli e dei particolari costruttivi, aspetto fondamentale nel restauro. Le altre, siano esse progettazioni compositive, urbanistiche, d’interni o altro, possono avere una loro valenza anche solo progettuale senza necessariamente attuarsi in cantiere, e ciò per le soluzioni artistiche adottate, per quelle distributive, per i rapporti di chiaroscuro, per le scelte formali ecc. Quanti progetti di nuova architettura non realizzati si è abituati ad apprezzare o criticare analizzandoli solo sulle pubblicazioni in carta stampata? E quanti sono diventati famosi solo per aver progettato architetture non necessariamente realizzate? Ciò sarebbe impossibile nel restauro, dove il cantiere è il banco di prova soprattutto della coerenza, che tra tutti è l’aspetto più importante della professione. Per questo motivo ho dato ampio spazio all’illustrazione di alcuni progetti e cantieri, che sicuramente sono validi per quella realtà specifica ma possono suggerire da un lato un metodo trasferibile in altri casi e dall’altro spiegare cosa significa un uso critico delle tecnologie.
Ma se un manuale non può contenere tutte le caratteristiche tecnico costruttive dell’architettura preindustriale, le sue possibili forme di alterazione e i rimedi che il mercato oggi propone per la bonifica, il consolidamento e l’adeguamento tecnologico, se la sintesi penalizza questo sapere ampio, se non è possibile illustrare le tecniche senza passare per i cantieri, perché diavolo ho accettato l’incarico da parte dell’editore Mancosu di redigere il “Manuale del Restauro e Riuso” nell’ambito del Nuovissimo Manuale dell’Architetto?
L’ho fatto perché in qualche modo lui mi ha catturato con un paragone sibillino ma assai intrigante citandomi un piccolo brano da un testo di Blaise Pascal che diceva all’incirca così: “Mi scuso signora Contessa se Vi scrivo una lunga lettera ma non ho tempo di scriverne una breve.”
Ecco, la sfida di questo lavoro è stata proprio nella sintesi di questo mondo articolato e complesso che è il restauro, attività che per molti versi è più laboriosa e impegnativa dell’analisi. Ho cercato di sintetizzare e semplificare le teorie per fornire un filo conduttore nella scelta delle soluzioni tecniche e in questo il metodo ritengo sia stata la soluzione per procedere con coerenza.
Non so se ci sono riuscito. Spero di si.