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Incredibile ma vero
La chiesa di San Gennaro a Real Bosco di Capodimonte è un capolavoro del Barocco Napoletano che appartiene si ai napoletani e alla loro ricca storia ma alla cultura di tutto il mondo. L’intervento eseguito ha distrutto un monumento nazionale, un’architettura Barocca integra, perché si è operato ignorando il codice dei beni culturali, si è calpestata la cultura del restauro e tutti i contributi che questa ha prodotto in oltre duecento anni di storia del pensiero.
UNBELIEVABLE BUT TRUE
The church of San Gennaio in the Royal Forest of Capodimonte is a masterpiece of the Neapolitan Baroque Art that belongs to Naples and its rich history, of course, but actually to the culture of the whole world. The works have destroyed a national monument, an intact Baroque architecture, as they were performed by neglecting the code of cultural heritage and by trampling on the culture of restoration and on all the contributions it brought to over two centuries of history of thought.
NOTA A MARGINE DI QUESTO EDITORIALE
Le considerazioni di questo mio editoriale sono state condivise con il Comitato Scientifico di questa rivista generando un dibattito interno molto fitto ed interessante. Certamente ulteriori dettagli relativi a questo intervento ed alle modalità operative di esecuzione sarebbero estremamente importanti per completare il quadro. L’argomento non si esaurisce in questo scritto, nato di getto dopo la notizia apparsa sui quotidiani nel mese di luglio, ma resta la volontà di proseguire un dibattito costruttivo sugli argomenti che stanno a cuore a tutti coloro che operano ogni giorno e a vario titolo nel modo del restauro.
La vicenda, del resto, si presta a discutere i tanti temi che meriterebbero di essere approfonditi: come ci si pone nei confronti dell’autenticità e della stratificazione storica? fino a che punto è lecito sperimentare sull’esistente? come innestare il contemporaneo sull’antico? come far dialogare memoria storica e gesto contemporaneo? è possibile e/o lecito riscrivere il testo antico? come si pone l’opera d’arte contemporanea in un contenitore storico?
Propongo tre paragoni che sembrano paradossi ma purtroppo calzano perfettamente per descrivere ciò che è recentemente successo a Napoli dove si è verificata una delle più profonde e gratuite offese alla cultura del Restauro Architettonico e alla cultura in generale.
Si immagini un medico ortopedico di fama e conosciuto in tutto il mondo che, per una sua incosciente scelta, voglia prendere il bisturi in mano e cimentarsi con una difficile operazione chirurgica al cuore. All’uscita della sala operatoria, mentre il paziente esce sulla lettiga senza vita, questi rilascia interviste trionfali vantandosi dell’intervento. Che ne direbbero i parenti di quel disgraziato? Che ne diremmo tutti noi?
Se un ottimo avvocato tributarista si presentasse per la prima volta in un’aula penale per difendere un povero diavolo innocente e in quel processo lo facesse condannare all’ergastolo sbagliando scelte, metodo e tutte le azioni tecniche, ignorando procedure, giurisprudenza e tutto quel mondo di conoscenze che c’è dietro a quel sapere? Come rimarrebbe l’imputato, il giudice e i partecipanti al processo? Se ne scrivessero i giornali o i social come verrebbe commentato?
Se un professore dell’Università, dopo la sua prima lezione in un ramo del sapere a lui totalmente sconosciuto, nel quale non si è mai cimentato, venisse acclamato dal Ministro dell’Università in persona dicendo che è un “esperimento straordinario!” “Lei ci ha indicato una strada nuova! Speriamo che molti la seguano!”, che ne direbbero i docenti di quell’area disciplinare? Cosa ne direbbe il mondo di quella cultura specialistica dal quale quel Professore è totalmente estraneo? Cosa potrebbero pensare ricercatori, professionisti e imprese che operano da centinaia d’anni nella filiera lunga di quel settore, che è teorico si ma anche molto pratico e operativo?
Sono paradossi? Non credo, nel mondo dei Beni Culturali che ora si chiama Cultura succede esattamente questo. L’11 luglio si è inaugurato l’intervento di restauro eseguito dall’archistar Calatrava alla chiesa di San Gennaro all’interno del Real Bosco di Capodimonte.
Non si tratta di un edificio qualsiasi ma di un capolavoro del Barocco Napoletano che appartiene non solo ai napoletani e alla loro ricca storia ma alla cultura di tutto il mondo. Si tratta di un edificio costruito nel 1745, per volontà di Carlo di Borbone, su progetto di Ferdinando Sanfelice, uno dei più raffinati architetti della corte napoletana. La chiesa è rimasta aperta al culto fino al 1970, poi ha avuto dei restauri in seguito ai danni prodotti dal terremoto del 1980 e, successivamente, è stata abbandonata per qualche decennio. La si scopre in fondo ad uno dei viali principali, accanto alla Real Fabbrica della Porcellana, e possiede una particolare pianta ellittica, ha una bellissima pavimentazione in cotto e maiolica, un altare in marmo intarsiato, dove c’è una tela con San Gennaro in Gloria, attribuita a Leonardo Olivieri (allievo di Francesco Solimena), altari laterali, statue, stucchi, decorazioni.
L’intervento, che fa dispiacere perfino solo a descrivere a parole, è ben visibile dalle tante immagini presenti su internet: il prima e il dopo si commentano da se’ tanto sono sconcertanti, nessuno poteva mai immaginare che in un edificio religioso, vincolato, si potesse intervenire con questa ignoranza e con questa brutalità. Sono state dipinte le pareti e i soffitti con tinte blu sintetiche (sicuramente la calce non possiede quei toni scarlatti), quindi resinose e irreversibili, sono state applicate in colla ceramiche dorate sulla volta e sul catino absidale, sono state posate nuove vetrate di colore arbitrario, decorate tutte le superfici con colori oro e verde, inserite luci che mirano ad esaltare la nuova decorazione piuttosto che lo spazio sacro o quello architettonico originario che ormai non c’è più. Forse, più devastante ci poteva essere solo la demolizione. E’ un intervento che ha distrutto un monumento nazionale, un’architettura Barocca integra, si è intervenuti ignorando il codice dei beni culturali, si è ferita e offesa la storia e la cultura di Napoli, si è calpestata la cultura del restauro e tutti i contributi che questa ha prodotto in oltre duecento anni di storia del pensiero.
I tre paragoni ora calzano alla perfezione.
Il paziente, che poverino è deceduto in seguito all’operazione al cuore, rappresenta la Chiesa di San Gennaro, che ormai non c’è più, non è più in vita, è stata uccisa con predeterminazione e incoscienza, è scomparsa dal mondo dell’arte e dell’architettura, non è più visibile nelle sue forme originali, nei rapporti di chiaro-scuro, nelle decorazioni, negli stucchi, in tutti gli apparati che si conservavano bene, è in pratica morta per sempre. L’avvocato con il delirio di onnipotenza, che si cimenta in un settore estraneo, è il progettista di questo demenziale intervento, che dimostra di ignorare il campo disciplinare dove agisce e che (volutamente) non si confronta con il corpo teorico e normativo di quel settore. Si tratta del famoso archistar Calatrava, che è un professionista straordinario e apprezzato in tutto il mondo per le sue opere nuove, per le forme originali e bellissime che crea, è stimato per i suoi ponti (un po’ meno da noi veneziani...), per le strutture, le forme, i colori e tutto quanto costituisce il lessico del suo linguaggio. Ma qui è intervenuto in un settore che non conosce, ha alterato un monumento storico architettonico in modo gratuito e irreversibile, ha ignorato volutamente la conoscenza dell’edificio, che è il primo passo per calibrare gli interventi secondo stati di necessità, ossia solo lì dove sono necessari, ha sbeffeggiato la cultura del restauro italiana che è tanta e vastissima, non ha dato risposta ai concetti che guidano il restauro colto e di qualità che molti professionisti cercano con grande fatica di perseguire, molti docenti tentano di trasmettere ai loro studenti e tutti i soprintendenti pretendono giustamente da chi opera nel tessuto storico vincolato. “La luce di Napoli è riunita in una moderna installazione all’interno di un ambiente settecentesco. – ha detto Calatrava – Il vocabolario contemporaneo è incorporato in un contesto storico che ne esalta il significato. Le pareti e il soffitto sono stati dipinti con un intenso blu oltremare per evidenziare gli elementi strutturali e ornamentali della cappella e conferirle un maggiore senso di profondità. L’installazione consente la creazione di un concetto globale in cui diverse arti (porcellana, tessitura, smaltatura e pittura) convergono in un’opera autonoma che parla al passato al presente verso il futuro”. Il tributarista nell’aula penale non potrebbe far di peggio.
Ma l’ultimo paragone è quello che lascia più l’amaro in bocca, quello del Ministro che apprezza il Professore neofita alla sua prima lezione. Dall’Ufficio Stampa del MiC il 6 luglio 2021 si legge: “È sempre un piacere tornare a Napoli, tornare a Capodimonte”. Lo ha detto il Ministro della Cultura Dario Franceschini “Il restauro della Chiesa di San Gennaro è un esperimento straordinario che mescola in modo inedito arte contemporanea e barocco. Per molto tempo abbiamo ritenuto che non fosse possibile inserire arte contemporanea nel patrimonio culturale storico italiano. Ringrazio l’architetto Calatrava per questo bellissimo dono e la qualità delle opere che hanno reso più ricco e più bello il nostro Paese. Questa esperienza dovrà indicarci la strada”.
E ancora “Mi pare una iniziativa straordinaria che rende Napoli ancora di più capitale della cultura perenne. Questa bellissima scelta di incrociare l ’arte contemporanea, con il maestro Calatrava, e il barocco è un’altra sfida importante che sta conducendo Capodimonte”. Ma come? un Ministro, in barba alla cultura del settore nel quale opera, giudica come esperimento straordinario un restauro (???) devastante, che ha alterato un monumento come nessuno mai aveva osato prima? E se il Ministro della Giustizia apprezzasse pubblicamente l’operato di quell’avvocato tributarista oppure quello della Salute valutasse come eccezionale l’operazione di quell’ortopedico che fa il cardiochirurgo? Che si penserebbe? Cosa ne dicono gli architetti dipendenti di quel MiC che si battono quotidianamente per conservare il patrimonio architettonico pretendendo giustamente mappature e interventi calibrati sulle superfici? Come faranno ora coloro che da decenni formano nelle Università gli studenti insegnando che il restauro non è ridecorazione, trasformazione arbitraria e la scenografia è altra cosa dal restauro? Che ne pensano i pittori e i decoratori che da ora in poi si sentiranno legittimati a dipingere di rosso, arancione o viola le nostre chiese barocche e rinascimentali? Oppure queste devastazioni sono consentite solo agli archistar? Ma ancora, chi avrà approvato quel progetto? Come farà questo Soprintendente ora a bocciare la coloritura Maschio Angioino di un bell’azzurro come la maglia del Napoli? Ma forse l’archistar può farlo e un architetto locale no? Qual è il criterio di valutazione?
Per fortuna che in questa calda estate, quasi contemporaneamente allo sconcertate commento del Ministro di questo restauro offensivo della cultura della tutela, c’è chi libera un pensiero alto e con questo da fiducia e speranza a chi crede e opera appunto all’interno della tutela del patrimonio architettonico. Salvatore Settis ha dedicato una riflessione magistrale ai significati originali del termine tutela, approfondendo le declinazioni e le reali interpretazioni così come definiti nell’articolo 9 della Costituzione che è “il più forte baluardo contro le troppe offese che ogni giorno si fanno in tutta Italia al nostro patrimonio”; e il restauro della Chiesa di San Gennaro è una di queste. Lo studioso ci invita a credere in una idea di restauro e riuso che “sappia agire nei centri storici senza devastarli ... presuppone il diffondersi di una cultura urbanistica e architettonica meno approssimativa di quella che sta divorando un Bel Paese, sempre meno meritevole di tal nome. Esige architetti culturalmente meglio attrezzati, sindaci e assessori meno proni al volere degli speculatori, cittadini capaci d’indignarsi, ma esige soprattutto una nuova consapevolezza, da crearsi agendo nelle scuole, ponendo questi temi al centro della discussione politica.”