ISSN 2283-7558

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articolo

L'EDITORIALE

Eliminiamo la burocrazia delle Soprintendenze!

Anzi, eliminiamo tutto!

La proposta di rendere meramente consultivo il parere della Soprintendenza sulle richieste di autorizzazione paesaggistica viene da chi si occupa di infrastrutture ed è del tutto estraneo alla tutela paesaggio, alla cultura del restauro architettonico e alla cultura in generale. La volontà di tutelare litorali, coste, borghi, piazze o singoli monumenti viene definita con il termine spregevole di 'burocrazia'. Questo mondo, abituato a commercializzare o progettare capannoni industriali, si scaglia con forza contro le Istituzioni per la Tutela criticandole per il fatto stesso di esistere. Invece, il loro ruolo è stato ed è fondamentale così come l’essere Istituzione dello Stato, che si pone su un piano diverso e più autorevole rispetto alle amministrazioni locali facilmente influenzabili.

LET'S ELIMINATE THE BUREAUCRACY OF THE SUPERINTENDENCES!

In fact, let's eliminate everything

The proposal to make the Superintendence's opinion on requests for landscape authorization merely consultative comes from those who deal with infrastructure and is completely unrelated to landscape protection, the culture of architectural restoration and culture in general. The desire to protect coasts, villages, squares or individual monuments is defined with the despicable term 'bureaucracy'. This world, accustomed to marketing or designing industrial warehouses, forcefully lashes out against the Protection Institutions, criticizing them for the very fact of their existence. Instead, their role was and is fundamental as well as being a State Institution, which stands on a different and more authoritative level than easily influenced local administrations.




Da pochi giorni è stato respinto l’emendamento (voluto dal Ministro delle Infrastrutture e inserito nel fascicolo della legge di conversione del Decreto Cultura DL 201/2024) che prevedeva di rendere meramente consultivo il parere della Soprintendenza sulle richieste di autorizzazione paesaggistica.
L’obiettivo, secondo i promotori, era di semplificare e ridurre la burocrazia liberando gli uffici dalle pratiche che non riguardano i grandi monumenti o le rilevanti opere storiche e affidando ai Comuni l’ultima parola su tutte le altre decisioni urbanistiche e paesaggistiche.

Così per lavori su immobili posti in aree vincolate, quali interventi su facciate, apertura di strade e interventi paesaggistici su litorali, nuove costruzioni nelle aree in prossimità di fiumi e laghi, paesaggi alpini, aree delicate e fragili il parere delle Soprintendenze avrebbe potuto essere paragonato a un consiglio, un indirizzo generale del quale tenere conto o meno.

Fortunatamente, oltre allo sdegno del mondo della cultura, è arrivata subito la risposta perentoria e chiara del Ministro della Cultura, titolare della competenza sul paesaggio, che ha affermato, “Nel momento in cui deciderò di occuparmi di trasporti e opere pubbliche, chiederò a Salvini cosa pensa delle Soprintendenze … Fino a quel momento, se ne occuperà il ministero della Cultura”.
  
Per semplificare ed eliminare la burocrazia dalle pratiche edilizie si potrebbe suggerire a chi ha ideato l’emendamento di non limitarsi alle Soprintendenze ma di eliminare tutto!! Basterebbe un po’ di coraggio e allora sì, il progetto di restauro o di nuova costruzione sarebbe veloce nelle approvazioni e pratico nelle esecuzioni.

In primo luogo si potrebbe non rendere vincolante il nulla osta dei Vigili del Fuoco, che comporta pratiche farraginose e opere inutili quali le uscite di sicurezza, i corridoi, gli estintori, ecc.; poi si dovrebbe rendere consultivo e non vincolante ottemperare alle pratiche burocratiche dei CAM o dei DNSH, che solo lunghe e laboriose, consultiva anche l’osservanza alle norme sul miglioramento o adeguamento sismico, che prevedono strutture costose e calcoli complicati; ancora, si potrebbe eliminare l’adeguamento ai disabili, l’acustica, la validazione dei progetti, ecc. Pensandoci si potrebbero includere anche le norme sulla sicurezza che sono di introduzione relativamente recente e sono anch’esse un aggravio burocratico.

Infine, per aiutare Venezia si potrebbe rendere facoltativa l’autorizzazione allo scarico reflui, che in Città impiega 4 mesi per autorizzare una semplice fossa imhoff, e scaricare di nuovo tutti direttamente nei canali.

E dopo? E dopo? Dopo aver eliminato questa burocrazia che mondo avremmo?

Non riesco a trattenere una facile ironia ma paragonare la tutela del paesaggio a una pratica burocratica, a una perdita di tempo dimostra due cose: la prima è quanta poca cultura, sensibilità e anche amore ci sia nei confronti del patrimonio architettonico e paesaggistico italiano. La seconda è quanto ancora sia potente quel mondo di professionisti e imprenditori che sta dietro all’emendamento e come sia attale ciò che Italo Calvino ha magistralmente descritto nel lontano 1957 nel suo “La speculazione edilizia”.

La tutela paragonata a mera burocrazia e lungaggine inutile riporta alla mente un fatto di qualche anno fa, quando a utilizzarla non fu il Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture ma lo stesso Ministro della Cultura.

La polemica era sorta a suo tempo riguardo all’autorizzazione temporanea rilasciata dal Soprintendente per installare un vagone ferroviario di fronte a Palazzo Madama in piazza Castello a Torino quale ‘sentinella’ alla mostra “I mondi di Primo Levi” simboleggiando i vagoni piombati della deportazione verso i lager nazisti. L’autorizzazione per ‘soli’ 15 giorni era dovuta, a detta dell’allora Soprintendente Rinaldi, perché ritenuta una “collocazione ingombrante, che risulta del tutto estranea alla piazza e interferisce con l’asse prospettico della città”.

L’allora Ministro Franceschini aveva annullato l’autorizzazione della Soprintendenza sentenziando sulla stampa: «Non c’è nemmeno bisogno di dirlo: il significato simbolico e morale della presenza in Piazza Castello di un vagone piombato a memoria della deportazione nei Lager nazisti e del viaggio di Primo Levi è superiore mille volte a qualsiasi valutazione burocratica».

‘Valutazione burocratica’ ?!?! La volontà di tutelare un monumento, sia esso piazza, litorale, costa o emergenza architettonica può essere definita con tono spregevole ‘burocrazia’? Tutto il lavoro sommerso e non visibile che producono da decenni i Soprintendenti e gli architetti di Soprintendenza è ‘burocrazia’? Interrogarsi sul concetto di prevaricazione, adottare misure di salvaguardia fisica e visiva, operare scelte anche coraggiose e spesso in contrasto con un’opinione pubblica si bolla con l’odioso termine ‘burocrazia’?

La definizione offensiva di ‘valutazione burocratica’ è lo scalino precedente a quello di rendere consultivo e non vincolante il parere delle Soprintendenze; paradossalmente è lo stesso atteggiamento che ha unito due Ministri.

Si tratta di un atteggiamento che concepisce le Soprintendenze quale freno alle iniziative imprenditoriali, blocco allo sviluppo economico perché impongono progettazioni castigate o esigono compatibilità tra il vecchio e il nuovo uso degli edifici, oppure perché pretendono attenzioni e approfondimenti progettuali giudicati eccessivi. Tutto ciò non viene digerito ma inteso come un’arbitraria interferenza nella sfera del privato, come un’insopportabile intromissione.

Ne consegue che le bocciature non sono quasi mai capite e vengono criticate, contrapponendo motivazioni che nulla hanno a che vedere con il restauro architettonico e con la tutela paesaggistica e, accusando queste Istituzioni di ottuso integralismo, di non essere al passo con i tempi e di moltiplicare appunto la burocrazia, mentre non si capiscono il senso e i nessi diretti con la tutela del patrimonio.

Certo, le Soprintendenze hanno i loro difetti, sono fatte di uomini e donne che possono a volte sbagliare ed essere più o meno preparati, più o meno veloci nell’istruire le pratiche e più o meno aperti nel concepire proposte e soluzioni,  o essere più o meno intelligenti. Ancora, soprattutto nel caso dei funzionari architetti, che sono la spina dorsale, il concetto di restauro e quello di tutela sono coniugati in ognuno di loro, come in tutti noi, in modo personale, filtrato dal proprio sapere e dalla propria esperienza pur rimanendo nell’ambito di quella cultura italiana condensata nel Codice dei BB.CC. Quindi, possono  presentare delle sfaccettature diverse in ciascuno di loro, e anche una non omogeneità di valutazioni (questo perché mancano le indicazioni culturali dal centro di comando),  ma fanno parte della singola interpretazione che ognuno dà della realtà.

Tuttavia, si deve anche riconoscere alle Soprintendenze la tutela del paesaggio e dei beni architettonici in Italia, si deve dare merito alle Soprintendenze e a quel risicato numero di funzionari di aver bloccato speculazioni, scempi e devastazioni di ambienti naturali,  di siti delicati e di monumenti che per decenni si sono infranti sulle loro dighe. Non è facile far capire al mondo degli operatori privati e della politica che i valori della permanenza dei beni storici e del loro sviluppo compatibile e non prevaricante necessitano anche a volte di scelte scomode e impopolari.

 

Certo, si poteva fare di meglio e senz’altro si poteva fare di più e con più rapidità. Però, proviamo a immaginare: come sarebbe stata l’Italia se non ci fossero state le Soprintendenze e i vincoli paesaggistici? Che paesaggi, che monumenti, che centri storici avremmo ora? Sicuramente villettopoli e capannopoli sarebbero arrivate al Colosseo e in Piazza San Marco, la maggior parte dei monumenti avrebbe conservato sì e no qualche elemento dando spazio a vasti centri commerciali, a condomini in ferro e vetro, per non parlare della creatività e della libera composizione architettonica che si sarebbe espressa al meglio, creando forme meravigliose, come quelle che caratterizzano tutte le periferie delle nostre città, ma cancellando litorali e colline, pianure e rilievi, forme, storie e materie che hanno segnato il nostro Paese in migliaia di anni. Che strutture avremmo oggi? Splendidi solai in c.a. o elementi metallici a vista che reggono facciate senza più architettura sul retro, oppure reticoli di impianti tecnologici con qualche setto murario o pavimento storico appeso come un quadro, il resto si può immaginare.

Di sicuro sono scogli difficili da superare per chi non è aduso a questa particolare progettazione, perché un progetto di restauro non s’improvvisa se non si hanno le basi, non ci si può inventare un rilievo materico e un’analisi del degrado o un progetto di su aree vincolate se non si è tanto studiato.

E così questo mondo, che non può e non potrà mai capire tali richieste, perché abituato a commercializzare o progettare bifamigliari, si scaglia con forza contro le Istituzioni per la Tutela criticandole per il fatto stesso di esistere. Invece, il loro ruolo è stato ed è fondamentale così come l’essere Istituzione dello Stato, che si pone su un piano diverso e più autorevole rispetto alle amministrazioni locali.

E’ inevitabile quindi che chi non possiede questa cultura vada a sbattere contro un muro del quale non percepisce confini e ragioni di esistere e, quindi, lo critichi ferocemente sentendosi impotente o addirittura leso nei propri diritti. Ma è giusto che sia così. E’ giusto che sia l’incompetenza a infrangersi contro chi è demandato a conservare il patrimonio culturale, che è patrimonio di tutti e non viceversa, perché la Soprintendenza non è contro ma è dalla parte della cultura, dell’integrità dei nostri paesaggi e monumenti, contrasta quell’autocelebrazione di progettisti che pretendono di intervenire in un ambiente storico vincolato come si può intervenire in una periferia urbana.

Chi ha una cultura specialistica formata per progettare e gestire gli edifici del passato, o i delicati paesaggi costruiti, sa bene che in questo mondo c’è un modus operandi particolare. Mi riferisco ad un progetto che interpreta i segni delle materie, i linguaggi delle architetture antiche così come i paesaggi naturali o antropizzati, ne legge i significati e trova di volta in volta la strada che garantisce la conservazione del bene, valuta il limite della compatibilità con il nuovo uso, elabora interventi tecnici giustificati da stati di necessità e non gratuiti, non inserisce forme e funzioni in modo devastante o prevaricante. Sicuramente nel restauro architettonico e nel paesaggio aggiunge, e per questo trasforma, perché nulla resta immutato anche nelle banali operazioni di manutenzione ma è sulla qualità, spessore e reale necessità di queste aggiunte che emerge la cultura e la preparazione.

Naturalmente non siamo in luoghi incontminati, da dove sembra provengano quei Ministri, con un territorio che è tutto da costruire e dove i valori del paesaggio sono dati da qualche canguro o qualche pecora o quelli della storia, costituiti al massimo da un villaggio di minatori del secolo scorso. Siamo in quel paese che il mondo ci invidia e che da secoli in centinaia di milioni viene a visitare, perché ha paesaggi culturali che trasudano storie stratificate, valori monumentali, architettonici e materiali seminati in ogni città, borgo o cascina che chiedono di essere conservati.

Le Soprintendenze sono lì per questo e la burocrazia è un’altra cosa.
  
Cesare Feiffer