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Libro e (non)libro
Siamo nell’era della comunicazione scenografica e rapida e non più in quella dell’espressione tramite la parola scritta, che possiede altri tempi e altri ritmi. Viviamo immersi in un’epoca nella quale la superficialità domina sull’approfondimento e, quindi, l’immediata e facile sequenza fotografica d’effetto vince sui contenuti del testo e della parola scritta, che è invece faticosa, necessita di riflessione a volte profonda e sicuramente colpisce (perché oggi è questo l’obiettivo: colpire!) di meno.
Oggi tutti noi, forse anch’io inconsciamente, privilegiamo la visione superficiale e scenica alla lettura attenta, che comporta approfondimento e riflessione; e questo vale per quasi tutti i campi del sapere.
BOOK AND (NO)BOOK
We are living in the era of speed and visual communication and no longer in the era of communication through the written word and that has a different pace and timing.
We are living in a period where superficiality prevails over deeper analysis and simple images overwhelm the contents of the text. Indeed the latter is harder to produce, it requires a deeper reflection to move people (since nowadays the principle aim is to move people) than the visual image.
Recentemente abbiamo pensato di regalare ai clienti e ai tecnici con i quali lavoriamo un piccolo libro con raccolti alcuni cantieri di restauro che abbiamo curato negli ultimi anni. Oggi è abbastanza facile e poco costoso comporre un libro: si raccoglie il materiale, lo si ordina secondo degli schemi prestabiliti, si lavora tutto on line e te lo spediscono in qualche giorno composto, rilegato con la copertina che vuoi tu, nel numero di copie che desideri e con costi abbordabili.
E’ questo un libro che giudico un (non)libro, perché essendo solo una raccolta di immagini mi è stato proibito di scrivere un solo pensiero che non fosse la presentazione, la quale doveva restare rigorosamente in una cartella. Non che un libro di sole foto non sia un contributo con contenuti, con informazioni e con cultura, tutt’altro, ma questo è un caso diverso, perché ritenevo che nel restauro architettonico le fotografie dovessero essere accompagnate da un commento per approfondire, spiegare, descrivere … .
“Ma dovremmo pur raccontare tramite qualche descrizione ciò che è stato fatto! - protestavo ad ogni pagina - sono lavori complessi, sono restauri di monumenti antichi non semplici progettazioni del nuovo! Si tratta di ville storiche, di palazzi, di chiese e di paesaggi non di centri commerciali, di villette o di condomini, sono architetture che conservano gelosamente storie, culture artistiche, civiltà materiali e stratificazioni temporali! Si dovrà pure articolare qualche pensiero per rendere comprensibile l’intervento.
Bisognerà almeno illustrarne i caratteri storici, il dissesto statico, le tipologie delle fasi operative, le scelte tecniche o almeno dire qualcosa sui principi che sono stati guida all’intervento! ”
Borbottavo in continuazione. “E dell’autenticità e del concetto di stratificazione storica non ne accenniamo? Ma come si fa a illustrare dei principi teorici, delle scelte culturali, i limiti critici e il nostro sapere specialistico senza la parola scritta? ”
“No, no e no! - rispondeva la mia ferrea socia - è un libro che deve comunicare solo ed esclusivamente con le immagini!”
Poi improvvisamente ho capito! Aveva ragione lei.
Siamo nell’era della comunicazione scenografica e rapida non dell’espressione tramite la parola scritta che possiede altri tempi e altri ritmi. Viviamo immersi in un’epoca nella quale la superficialità domina sull’approfondimento, quindi l’immediata e facile sequenza fotografica d’effetto vince sui contenuti del testo e della parola scritta, che è invece faticosa, necessita di riflessione a volte profonda e sicuramente colpisce (perché questo è l’obiettivo: colpire!) di meno. Oggi tutti noi, forse anch’io inconsciamente, privilegiamo la visione superficiale e scenica alla lettura che comporta approfondimento e riflessione, e questo vale per quasi tutti i campi del sapere. Così viene ormai naturale, sia per il soggetto che compone il (non)libro sia per il non lettore che lo esamina, fornire massima importanza al valore evocativo dell’immagine fotografica, che è facile da sfogliare in sequenza ed è veloce perché nessuno ha più tempo, ed è semplice perché la accarezzi con lo sguardo e non ti fermi ad approfondire.
Vent’anni fa tutti noi avremmo giudicato in modo pessimo un (non)libro del genere: vuoto, quasi irriverente nei confronti di un argomento così profondo come il restauro architettonico, presuntuoso perché pretendeva di sostituire i contenuti con delle immagini scenografiche, ignorante in quanto superficiale perché non approfondiva i temi della storia dell’architettura, irrispettoso per la sofferenza che necessita il lavoro del restauratore che non può prescindere dallo studio delle teorie sul restauro, della storia dell’architettura, delle tecniche scientifiche d’intervento e che l’immagine sola non si riteneva in grado di articolare.
Vent’anni dopo siamo tutti mutati e ognuno di noi preferisce scorrere sul telefono, sul tablet o sul proprio pc immagini superficiali in continuazione, convinti che queste possano sostituire l’approfondimento tramite la parola scritta, che possano bypassare la fatica di approfondire, di studiare o di capire il nostro agire e di descriverlo tramite qualche pagina. Anzi, molto spesso i testi, anche se brevi, quasi infastidiscono perché vengono visti come corpi estranei in un mare che si vorrebbe solo di immagini. E così la comprensione delle cose e il sapere perdono progressivamente la propria forza.
‘L’idea che capire e sapere significhino entrare in profondità in ciò che studiamo, fino a raggiungere l’essenza, è una bella idea che sta morendo: la sostituisce l’istintiva convinzione che l’essenza delle cose non sia un punto ma una traiettoria, non sia nascosta in profondità ma dispersa in superficie, non dimori dentro le cose, ma si snodi fuori da esse, dove realmente incominciano, cioè ovunque. In un paesaggio del genere, il gesto di conoscere dev’essere qualcosa di affine a solcare velocemente lo scibile umano, ricomponendo le traiettorie sparse che chiamiamo idee, o fatti, o persone. Nel mondo della rete a quel gesto hanno dato un nome preciso: surfing (…) la vedete la leggerezza del cervello che sta in bilico sulla schiuma delle onde ? Navigare in rete, diciamo noi italiani. Mai nomi furono più precisi. Superficie al posto di profondità, viaggi al posto di immersioni, gioco al posto di sofferenza’. A. Baricco, “I barbari”, Milano, 2008, p. 92,93.
Fatto sta che il (non)libro è stato apprezzato da tutti quelli che l’hanno ricevuto; non è stato per compiacenza ma molti l’hanno definito spettacolare. Così concludo, citando ancora Baricco che parlando del barbaro quale essere che è mutato negli ultimi decenni rispetto a una tradizione stabile e da tutti uniformemente condivisa, fornisce una originale definizione del concetto spettacolarità.
“Per questo (il barbaro nda) tende a cercare stazioni di passaggio che invece di trattenerlo lo espellono. Cerca la cresta dell’onda per poter surfare da Dio. Dove la trova? Dove c’è quello che noi chiamiamo spettacolarità. La spettacolarità è un misto di fluidità, di velocità, di sintesi, di tecnica che genera un’accelerazione. Ci rimbalzi sopra alla spettacolarità. Schizzi via. Ti consegna energia non la consuma. Genera movimento non lo assorbe. Il barbaro va dove trova la spettacolarità perché sa che lì diminuisce il rischio di fermarsi. Dice: perché lì diminuisce il rischio di pensare, ecco la verità. Si e no. Pensa meno, il barbaro, ma pensa reti indubbiamente più estese. Copre in orizzontale il cammino che siamo abituati a pensare in verticale. Pensa il senso, tale e quale a noi: ma a modo suo”. Ibid p. 136.
Quindi siamo tutti già diventati barbari quasi senza essercene accorti.
We are living in the era of speed and visual communication and no longer in the era of communication through the written word and that has a different pace and timing.
We are living in a period where superficiality prevails over deeper analysis and simple images overwhelm the contents of the text. Indeed the latter is harder to produce, it requires a deeper reflection to move people (since nowadays the principle aim is to move people) than the visual image.
Nowadays all of us, myself included, choose a faster visual communication compared to the written word and this is happening in all fields of knowledge.