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DALLE MATERIE ALLA CONSERVAZIONE
Per comunicare il restauro anche a mondi distanti dal nostro di operatori e di appassionati, di proprietari e di studiosi, stiamo cercando di raccogliere dei distillati, delle brevi riflessioni sui temi sui quali quotidianamente ci interroghiamo: il rapporto tra antico e nuovo, la conservazione del paesaggio, i significati dell’autenticità nell’architettura storica, ecc. L’immagine fotografica poi amplia e spinge il pensiero verso altre realtà che le nostre “protesi digitali” catturano e rilanciano con maggiore facilità.
From matter to architectural restoration
In order to transmit the culture of architectural restoration to the people that don't know much about it, we tried to collect a series of short thoughts made by some professionals of this field. We will discuss on themes like: the relationship between the old and the new, the conservation of cultural heritage and the meaning of authenticity.
These are the themes everyday are faced by us.
Nel numero precedente abbiamo cercato (un po’ a malincuore) di adeguarci alle forme nuove della comunicazione che sempre più tende a privilegiare l’immagine alla parola scritta e l’emozione rapida che scaturisce da foto particolari alle pagine del testo.
E’ una comunicazione diversa, più veloce, sicuramente più dinamica, che apre collegamenti e rimandi a realtà anche distanti com’è nella natura del web; non è migliore o peggiore, non è superficiale rispetto ad una più profonda, è semplicemente un modo diverso di trasferire pensieri, concetti e punti di vista.
Così, per comunicare il restauro anche a mondi distanti dal nostro di operatori e di appassionati, di proprietari e di studiosi stiamo cercando di raccogliere dei distillati, delle brevi riflessioni sui temi sui quali quotidianamente ci interroghiamo: il rapporto tra antico e nuovo, la conservazione del paesaggio, i significati dell’autenticità nell’architettura storica, ecc. E’ un modo assai diverso di confrontarci e di parlare rispetto alle elaborazioni tradizionali, quali gli articoli o i saggi che per certi versi sono più dense e articolate ma forse non è meno stimolante; l’immagine fotografica poi amplia e spinge il pensiero verso altre realtà che le nostre “protesi digitali” catturano e rilanciano con maggiore facilità.
La conservazione dell’architettura storica e del paesaggio richiede professionalità con una solida cultura e una marcata specializzazione altrimenti, non si ha la sensibilità giusta per riconoscere gli oggetti sui quali s’interviene.
Se non si conosce non si è in grado di leggere le trasformazioni storiche, di comprendere le natura delle materie, di analizzare le forme, gli invecchiamenti e i silenzi dell’oggetto architettonico che danno vita a quell’archivio che è il mondo che ci circonda.
Senza questa sensibilità, senza questa capacità di lettura è subito prevaricazione del bene architettonico, è distruzione .… e così la memoria storica viene annientata e il sapere perde la propria forza.
Quando s’ignora il concetto di conservazione e si esalta la creatività progettuale allora la preesistenza storica, architettonica e paesaggistica passa in secondo piano e ciò che emerge è la durezza del gesto progettuale che stravolge il documento storico, imponendosi sulla gracile edilizia.
L’intervento così si sovrappone sia all’emergenza architettonica, sia al paesaggio culturale sia all’edilizia minore, che diventeranno sfondo al pari di una quinta teatrale.
Il metodo compositivo tipico dell’architettura del nuovo ritiene umiliante subordinare la creatività alla conservazione della preesistenza e punta a rendere visibile e dominante il suo “atto creativo” che non può essere limitato e subordinato.
Per conservare non solo il monumento tradizionale ma anche un sito naturale o antropizzato, un borgo rurale, una “semplice” e vecchia strada di campagna o qualsiasi “paesaggio culturale”, bisogna saper distinguere le tracce e gli aspetti meno evidenti oltre a ciò che le tante storie hanno cancellato, sovrascritto, aggiunto o mascherato.
Per fare questo sono necessarie una preparazione che si fondi sulla conoscenza storico-critica e sulla cultura del restauro architettonico nonché su una progettazione diversa, più sensibile, meno prevaricante, più adatta al contesto, e più … conservativa; altrimenti c’è il rinnovo. Così si rischia di perdere i segni ed i significati delle architetture e dei paesaggi. che se ne vanno per sempre come lacrime nella pioggia.
Negli interventi complessi di conservazione e riuso molte figure sovrappongono le loro professionalità nel cantiere, e ancor prima nel progetto con il rischio concreto, di far svanire dietro a esigenze di vario genere i principi culturali che devono fare da guida a tutte le azioni. Il riferimento è al concetto di autenticità, di compatibilità fisico-chimica e strutturale, di rispetto della stratificazione, di visibilità dell’aggiunta, di non prevaricazione formale, ecc.
Spesso queste culture professionali diverse quali strutturisti, termotecnici, arredatori, ecc. confondono nell’edificio storico l’apparire con l’essere, ossia l’immagine con la sostanza, privilegiando valori diversi, fuorvianti, ai quali segue la libertà d’azione.
Si ottengono così risultati non voluti e non controllati, aggiunte non a misura del contesto, stratificazioni innaturali che fanno perdere la memoria dell’originale e deformano la percezione.
Purtroppo è ancora alto il divario tra coloro che, credono nella conservazione, riconoscendo il valore culturale della preesistenza, e quei progettisti e imprese che praticano la sostituzione come metodo d’intervento. Non essendoci sensibilità alcuna per la fabbrica del passato sono convinti che il miglioramento delle prestazioni energetiche o statiche dell’edificio sia un fattore positivo e indolore da perseguire comunque.
Così dopo i solai in legno, gli intonaci a calce, i soffitti in cannucciato e intonaco e i pavimenti in cotto o seminato si buttano anche i serramenti antichi e si sostituiscono con nuovi “a tenuta”, con “ottimo” vetrocamera isolante e anta unica per avere più luce. Il risultato è lo straniamento causato da pura e autentica ignoranza che è altra cosa da quello straniamento teorizzato dai formalisti russi.