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CHE FINE HA FATTO L’ARCHITETTO?
Dovrebbe essere l’architetto il responsabile dell’intero progetto di restauro architettonico, lui a fornire gli indirizzi, il modus operandi e la filosofia generale dell’intervento ma spesso non è così: egli per timore, reverenza o poca dimestichezza restringe progressivamente il suo campo d’azione, così i contributi specialistici vanno per la loro strada, s’allargano, prendono il sopravvento e diventano progetto autonomo appunto perché non governati.
WHAT HAPPENED TO THE ARCHITECT?
The architect should be the one in charge of the entire architectural project. He/she should give the modus operandi, the general philosophy and the rules behind the whole plan. However, the opposite happens often where the architects that lack experience in the field prefer to not to take into their authority these essential things.
Nel progetto e nel cantiere di restauro si sovrappongono tante figure, ciascuna con particolare specializzazione in relazione ai caratteri dell’edificio, ai problemi tecnici da risolvere e ai vari vincoli presenti. E’ ormai consacrata la prassi di affidare gli incarichi dei progetti di restauro a gruppi di professionisti, piuttosto che a singoli tuttofare, e ciò è positivo perché la specializzazione è proporzionale alla qualità, a condizione però che i singoli contributi siano criticamente indirizzati e non siano lasciati liberi a se stessi.
Merita una breve riflessione la cultura e la formazione di queste figure per capire qual è l’idea di restauro in ognuno di loro, quali sono gli obiettivi del progetto e come queste professionalità, che sono specialistiche, riducano progressivamente gli spazi dell’architetto.
Sono tutti bravi professionisti ma vediamoli nel dettaglio.
Ci sono gli archeologi che sono bravi perché, oltre a studiare stratigraficamente gli strati del terreno e i reperti che trovano, li mettono in relazione tra loro e spiegano così la genesi dell’edificio sulle fonti dirette, cioè sulla fabbrica. Da Mannoni in poi hanno inoltre acquisito grande conoscenza degli elementi di cultura materiale, ossia intonaci, mattoni, malte, pavimentazioni, in sintesi di tutti quei materiali tradizionalmente definiti poveri che caratterizzano la costruzione antica.
Si interessano di materiali e tecniche costruttive perché questi aspetti sono generalmente poco conosciuti dall’architetto più dedito alle forme e agli spazi che alla cultura materiale, così lascia volentieri agli archeologi lo studio della provenienza, delle tipologie di lavorazione e anche delle particolarità della posa in opera. La loro opera oggi non si limita al bidimensionale dello scavo archeologico ma si estende anche al fuori terra e studia l’aspetto tridimensionale dell’architettura storica interpretando gli alzati dell’elevato murario, quindi muri, solai, capriate e, di conseguenza, spazi architettonici.
L’idea di restauro è legata allo scavo e quindi alla demolizione, alla scoperta e alla valorizzazione del più antico. Gli obiettivi, quindi, travalicano l’analisi dello stato di fatto e intervengono orientando le decisioni di progetto che mette in primo piano gli aspetti archeologici appunto, i ritrovamenti o anche la lettura stratigrafica di materiali e strutture.
Ci sono poi quei bravi archeologi che s’interessano dell’archeologia urbana e che procedono in modo analogo ma ampliando gli interessi al borgo storico o alle porzioni della città antica, che non disdegna di orientare le scelte progettuali anche del restauro urbano.
Ci sono poi gli storici e gli storici dell’arte anche loro bravi, perché interpretano gli apparati decorativi e artistici delle superfici dell’architettura, li attribuiscono stilisticamente e fanno riferimento alla critica d’arte e all’estetica nell’interpretazione delle forme.
Alla costante ricerca di preesistenze celate da pellicole pittoriche per confermare o smentire ipotesi, insistono anch’essi per orientare il progetto nei confronti degli obiettivi che gli sono più vicini, ossia quelli della valorizzazione degli apparati decorativi. In sintesi, un restauro, come si diceva anni fa, quale braccio secolare della storia, e aggiungerei dell’arte.
Poi ci sono i tanti ingegneri specialisti tutti anch’essi molto bravi. Gli ingegneri strutturisti leggono le strutture, i dissesti statici, governano i problemi dei carichi, della sismica e del consolidamento strutturale dell’edificio antico. Ci sono i bravi ingegneri termotecnici, che rivolgono la loro attenzione al dimensionamento degli impianti, all’isolamento termico di coperture, muri e finestre. Poi ci sono i geologi, i tecnici dell’antincendio, ecc.
Anche in questi casi l’obiettivo del restauro, che logicamente è di volta in volta diverso, è rispondere alle norme (concepite spesso per la nuova costruzione), governare la statica muraria principale, risolvere la non facile sismica o dare razionalità e calcolo a quella selva di tubi e cavi che spesso vive nelle viscere delle murature e dei solai.
Sono da ricordare i tecnici dell’acustica, bravi anch’essi, che indirizzano la loro competenza nei confronti dell’isolamento di muri, scatole elettriche, quadri di derivazione oltre naturalmente alle pareti e ai solai. Come per i precedenti, l’obiettivo del progetto è verificare tecnicamente quanto di competenza, ossia evitare la propagazione dei suoni e concentrare il progetto di restauro su ciò che serve per ottenere un perfetto isolamento.
C’è storicamente poca propensione degli architetti nell’affrontare queste tematiche tecnico-scientifiche, così anche in questi casi l’architetto si ritrae e avanza lo specialista.
Ancora ci sono i bravi arredatori, oggi definiti interior, tecnici che dovrebbero partire dall’architettura restaurata per integrarla con i mobili necessari all’uso, con apparecchi illuminanti, i tappeti e tutto ciò che inizia quando finisce il restauro architettonico. Sovente questo progetto si estende oltre ai limiti dell’arredo e trasforma il distributivo, demolisce strutture murarie e investe tutta l’immagine complessiva dell’architettura. E anche qui l’architetto indietreggia.
Se c’è un parco o un paesaggio storico costruito è inevitabile che intervenga il bravo paesaggista, studiando essenze e disposizioni del verde, disboscando e piantumando. Ancor più che negli altri casi la formazione di questo professionista, che è preziosa per la qualità, difficilmente recepisce quei segni che il paesaggio storico edificato contiene e ancor più difficilmente interviene con metodo, cultura e misura nel restauro del paesaggio.
Così, progressivamente, specializzazione dopo specializzazione, da un lato il progetto di restauro viene interpretato in modo diverso e spezzettato e dall’altro lato all’architetto viene sottratto l’edificio architettonico inteso nella sua interezza. Le superfici orizzontali e anche l’elevato se lo prende il bravo archeologo, le decorazioni il bravo storico dell’arte, le strutture statiche, gli isolamenti e gli impianti i bravi ingegneri, l’arredo e le finiture di pavimenti pareti e soffitti i bravi arredatori e il verde il bravo paesaggista.
Sono tutti bravi questi professionisti, sono indispensabili, ma ognuno proviene da culture distanti dal restauro architettonico troppo distanti per essere lasciato libero: l’archeologia, l’ingegneria, l’arredo, la storia, ecc. Per capire basta porre loro alcune domande che sono banali per un restauratore ma assai problematiche per uno specialista. Sono domande del tipo: cos’è oggi il restauro? Esistono teorie diverse sul restauro? E quali sono? Come risolvo il rapporto con l’edificio antico? C’è un limite nel restauro o tutto è possibile a condizione che raggiunga gli obiettivi? E di conseguenza, è tutto ammissibile nell’edificio storico? Sono domande su temi fondamentali, quasi banali per gli addetti ai lavori, e che, per avere risposte di qualità, necessitano di cultura del restauro, che non è cosa da poco.
Tutti bravi siamo d’accordo ma l’architetto?
Forse dovrebbe essere lui il responsabile dell’intero progetto di restauro architettonico, lui a fornire gli altri indirizzi, il modus operandi e la filosofia generale dell’intervento alla quale è richiesta coerenza. Ma la prassi oggi non è così: egli per timore, reverenza o poca dimestichezza restringe progressivamente il suo campo d’azione mentre i contributi specialistici vanno per la loro strada, s’allargano, prendono il sopravvento e diventano progetto autonomo, appunto perché non governati.
Perché dovrebbe essere l’architetto a gestire obiettivi, metodo e soluzioni del progetto di restauro?
Perché è l’unico che nel percorso di studi affronta (o dovrebbe aver affrontato) la storia dell’architettura e delle teorie sul restauro, il restauro architettonico e i laboratori integrati di progettazione dove si verifica il restauro con varie discipline dal rilievo, al consolidamento, alla progettazione del nuovo. Perché ha una concezione globale dell’edificio architettonico e non specialistica e settoriale, perché ha approfondito (o dovrebbe averlo fatto) i temi culturali che sono un cardine del restauro, quali il concetto di autenticità, quello di stratificazione storica, il giudizio di valore, il falso e la riproduzione, ecc.
Perché perde quota questa figura?
Perché gli architetti sono bravi a sviluppare l’analisi e poco allenati ad approfondire il progetto tecnico, che è quello che serve in cantiere; perché la preparazione universitaria privilegia sempre più i temi teorici e alla grande scala piuttosto che quelli tecnico operativi e di dettaglio. In questo modo gli specialisti, che invece sanno fare queste cose, hanno grande spazio. Basterebbe abituare tutte le figure coinvolte a dare la stessa estensione alle fasi di analisi e a quelle di progetto.
Un’altra ragione può essere individuata nel fatto che generalmente l’architetto ha poca forza nel gestire la fase del Coordinamento. Non quello relativo ai problemi di sicurezza ma a quel Coordinamento necessario per dare i limiti all’interno dei quali ogni prestazione specialistica dev’essere condotta, per uniformare il metodo, gli obiettivi di tutti, per verificarne la coerenza. Ed eventualmente, quando questa dovesse mancare, intervenire e correggere in sede progettuale.
Cosa significa correggere? Significa che se le soluzioni di consolidamento statico non sono coerenti con gli assunti del progetto generale di restauro architettonico il coordinatore deve stimolare lo specialista a studiare soluzioni più compatibili; se l’interior dipinge gli intonaci storici con tinte incompatibili questo va reso edotto dei fini generali del progetto e deve adottare altre soluzioni; se i tubi degli impianti vengono previsti sottotraccia all’interno di muri e pavimenti l’architetto responsabile del progetto di restauro dovrà intervenire e chiedere diverse e migliori soluzioni; e se l’archeologo o lo storico dell’arte vogliono sostituirsi al progettista, questi dovrà spiegare che non hanno la responsabilità professionale del progetto e, pertanto, ciò non è possibile.
Ciò significa credere nella qualità del progetto di restauro, del ruolo dell’architetto nel restauro e, soprattutto, essere convinti che la formazione universitaria debba trasmettere anche questo aspetto al futuro professionista (e questo vale anche per il progetto del nuovo) … ma forse chiedo troppa connotazione operativa all’università…
Non so perché ma in coda a queste riflessioni mi viene in mente un brano di “Il mondo di ieri” di Zweig del 1942 che riporto: “Per me è rimasto sempre valido l’assioma di Emerson, che i buoni libri sostituiscono la migliore università, e che si può diventare un ottimo storico, filosofo o giurista senza aver mai frequentato l’università e nemmeno il liceo. Infinite volte nella vita pratica constatai che sovente gli antiquari se ne intendono di libri più che i professori, che i mercanti d’arte ne sanno più dei docenti, che una buona parte degli impulsi decisivi delle scoperte, in tutti i campi, è venuta da studiosi isolati e non accademici”.
Cesare Feiffer