ISSN 2283-7558

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L'EDITORIALE

VENEZIA, PROCURATIE VECCHIE

Demolizione, ricostruzione con sagoma diversa e aumento di volume

Le Procuratie Vecchie a Venezia sono uno dei contesti più monumentali della Città più monumentale del mondo. Nell’intervento che presentiamo si è demolita dalle fondazioni al tetto un’intera porzione architettonica che definisce il lato nord della Piazza San Marco, si sono abbattute murature, solai e tutte le finiture, si è costruito un nuovo corpo di fabbrica con due grandi terrazze che si elevano dai tetti cinquecenteschi. E’ un intervento gratuito di progettazione invasiva che contrasta fortemente sia con la cultura del restauro, sia con la politica di tutela del nostro Paese sia con l’operato delle Soprintendenze.

PROCURATIE VECCHIE IN VENICE

Demolition, reconstruction with different shape and volume increase

The Procuratie Vecchie in Venice is one of the most monumental backgrounds of the world.
In the intervention that we present they demolished from the foundation to the roof an entire archi-tectural portion that is defining the north side of S. Mark Square. Furthermore, they tore down walls, slabs, and all the other details while they built a new body of the building with two big terraces lifted up over the roofs of the 16th century.
This is a very invasive project that goes against the culture of restoration and the Italian politics of preserving the cultural heritage where we  wonder how the “soprintendenze” allowed all this.




E’ stato con molta probabilità questo il titolo del progetto presentato a suo tempo dall’Architetto David Chipperfield alla locale Soprintendenza per farsi autorizzare in Piazza San Marco l’intervento voluto da Assicurazioni Generali. E’ appena il caso di notare che la demolizione di un edificio vincolato e l’aumento di volume sono azioni espressamente vietate dal Codice dei Beni Culturali e dalle locali norme urbanistiche.
Inutile dire che siamo ancora una volta nel cuore monumentale della Città più monumentale del mondo, in uno degli edifici più prestigiosi, più ricchi di valenze storiche, culturali, politiche e sociali dell’intera Venezia. L’intervento ha devastato con violenza gratuita la porzione settentrionale del complesso architettonico, che oggi non esiste più … è stata raso al suolo ed eretta fuori sagoma una nuova struttura in calcestruzzo, acciaio, cartongesso e vetro.
E’ una realizzazione che ha offeso e oltraggiato sia il mondo professionale che opera nel restauro, ricercando quotidianamente con fatica la cultura e il rigore, sia le istituzioni di tutela che - come nota Rinaldi più avanti - ci si chiede perché ancora esistano, sia tutti noi cittadini del mondo convinti da secoli che il patrimonio storico, la nostra cultura, l’arte, l’architettura vadano conservate e trasmesse alle generazioni future e non demolite.
Conoscevo bene l’edificio, ho visitato accuratamente gli spazi abbattuti e ricostruiti e ho anche buttato 40 euro per acquistare la pubblicazione cercandovi inutilmente delle motivazioni culturali, gli approfondimenti conoscitivi, ma soprattutto le ragioni del perché si sia demolito un monumento nazionale: ho trovato solo il vuoto assoluto di contenuti. Speravo almeno fossero illustrate le tecniche operative del cantiere ma anche in questo caso, come dirò più oltre, niente di concreto e solo una successione banalità.
  
LA VISITA
Ritengo inutile illustrare le caratteristiche storiche e architettoniche del monumento tant’è famoso in tutto il mondo per le infinite storie stratificate che le pietre raccontavano fino all’apertura del cantiere di demolizione; descrivo invece ciò che gli occhi di un restauratore hanno interpretato durante la visita attenta e con l’approfondimento della poca documentazione disponibile sulle pubblicazioni.
Inizio dall’alto, cioè dai tetti, e scendo nella porzione sotto alle nuove glaciali terrazze e al vano scala: sono state demolite tutte le tegole di copertura e le tavelle, le strutture lignee centenarie principali e secondarie, sono state rimosse le pavimentazioni in cotto dei solai, i loro sottofondi, tutte le travature in legno, è stata tagliata e buttata a discarica la parte centrale della grande volta in cantinelle e stucco dello scalone monumentale, sono stati scrostati gli intonaci e abbattute le murature principali e secondarie in mattoni pieni e malta di calce elevate come il resto agli inizi del 1500 ….. continuo? Forse è meglio di no.

Solo due note sulle nuove strutture e finiture. Le poche murature originali che si sono salvate dalla demolizione integrale sono state squarciate a tutt’altezza per inserire degli enormi telai in acciaio atti a reggere archi con dimensioni esagerate non giustificati da nessuna logica distributiva se non dall’autocelebrazione del gesto progettuale. Ancora, tutte le superfici verticali precedentemente intonacate con malta di calce e sabbia sono state scorticate e oggi si presentano in mattone a vista (com’è in uso in molte pizzerie della Città) leggermente velate di bianco in modo da non distinguere le poche parti originali rimaste da quelle che ricoprono i telai di acciaio delle aperture ad arco.

Queste ultime sono tutte coronate da un bordo bianco forse giustificato dalla volontà di contenere il falso arco realizzato per aggetti successivi dei mattoni anziché costruito, come la grammatica architettonica insegna, a ghiera con elementi convergenti al centro. Il coronamento è di un impasto di resina con scaglie di marmo Botticino e bianco di Verona e la stessa resina (alla faccia della sostenibilità e della tradizione costruttiva) con aggiunta invece di cotto riveste le pareti, i corrimano e i pavimenti delle grandi terrazze. Sempre in resina sono tutte le pavimentazioni degli interni (oltre 3000mq complessivi di superfici) e circa 600 scalini.

Nella visita lo sguardo viene attratto dall’aumento di volume che culmina con una enorme finestra a forma trapezoidale ben visibile da ogni lato dello spazio svuotato sottostante. La sua conformazione non rimanda certo alla realtà architettonica e tipologica della Città storica né come geometria né come rapporti; il riferimento non è nemmeno a qualche citazione colta o a una creatività di livello elevato come ci si si sarebbe aspettati ma fa pensare all’edilizia periferica degli anni ‘70/’80 del Veneto centrale come le immagini fotografiche suggeriscono.

   
IL PROGETTO
Il progetto ha previsto di inserire negli spazi delle Procuratie Vecchie una nuova funzione: The Human Safety Net. Si tratta di una Fondazione umanitaria di Generali dedicata al miglioramento delle condizioni di vita di famiglie e comunità svantaggiate, attività che avrebbe benissimo potuto adeguarsi al distributivo esistente non avendo assolutamente necessità di quegli spazi, di quelle aperture e, soprattutto, né dei nuovi volumi e tanto meno delle terrazze con le loro rampe d’accesso.

Ciò che connota il progetto, oltre alle demolizioni, è quel complesso di modifiche costituite dal volume che fuoriesce dalla sagoma preesistente che contiene un nuovo corpo scala atto solo ad accedere a due terrazze costruite sopra ai tetti millenari. Certo che da una terrazza costruita sopra al Colosseo, a Santa Maria del Fiore si può vedere un bel panorama! Non ci vuole un archistar per capirlo! Ma si giustifica la demolizione di un edificio di tale valenza per costruire due terrazze? Oltretutto l’accesso non è libero ma consentito solo con un accompagnatore, che cortesemente apre la porta, ti conduce, ti aspetta e richiude la porta.

Il poco che dell’antico edificio restava ancora integro, e cioè le murature portanti perpendicolari alla facciata monumentale che definivano per secoli gli spazi rigorosi dei Procuratori di San Marco, sono state anch’esse sacrificate per un nuovo distributivo a pianta libera dal quale l’antica tipologia non è più percepibile.

Ho cercato nel volume monografico, e nelle varie interviste pubblicate, le ragioni di tutte tali scelte: le motivazioni che giustificano questa volontà di abbattere e trasformare un documento storico così importante; come si sia impostato il rapporto tra “antico” e “nuovo”, argomento sul quale gli studiosi si sono da sempre confrontati; le risposte che sono state date ai concetti che guidano il progetto di restauro, quale quelli di autenticità, di stratificazione storica, di compatibilità; come ci si è posti di fronte alla costruzione storica intesa come documento di cultura materiale e, infine, di tutte le riflessioni che progettisti e committenti abitualmente conducono quando operano nei contesti storico-monumentali. Ma nulla di tutto ciò ha interessato l’archistar, egli compone libero come davanti a un foglio bianco senza confronti con la cultura del restauro e nemmeno con le norme di tutela e urbanistiche. Queste archistar si sentono superiori a tutto ciò e ricordano quei futuristi del primo novecento che volevano radere al suolo le città antiche in nome del modernismo.

Significativa in questo senso è la dichiarazione di Chipperfield in apertura del volume “Ci piace lavorare su progetti di restauro non come restauratori, ma come architetti moderni. Mi rendo conto che suona piuttosto insolito, ma lavorare con edifici storici preesistenti ci affascina.” [L. Molinari (a.c.d), Laboratorio Venezia. Ripensare Piazza San Marco, Marsilio Editore, Venezia, 2022, p.49] ma, viene da chiedersi, se ti affascina perché lo demolisci?

Ancora: “Riparare, riunificare e adattare i molti strati di questa storica struttura è stata una sfida complessa e gratificante che ci riconnette con il potere dell’architettura sia come sostanza fisica sia come processo di collaborazione.” Artribune, Arianna Testino, 8 Aprile 2022. Forse ciò spiega le scelte? Ritiene che la gratificazione personale sia il fine di un restauro?

Oppure: “Il nostro metodo ci ha dato quella flessibilità necessaria a dialogare con la fabbrica, ci ha dato modo di chiarire, consolidare confermare e proteggere (sic.) ciò che occorreva custodire (sic.), e al contempo di godere di quegli spazi che meglio si prestavano a opportunità di intervento programmatico e architettonico” (Ibid. p.54 ). Ma dialogare significa forse sopprimere?

“Il problema delle Procuratie è rappresentato dalla loro morfologia, dalla loro struttura e da come sono state organizzate in origine: un ordine andato perso molto tempo fa”, (...) “Il paradosso sta nel fatto che quando guardi l’edificio dalla piazza sembra un palazzo di città con grandi stanze. Lo suggerisce l’orizzontalità della facciata. L’interno era invece strutturato in piccole e strette unità verticali che caratterizzavano magnificamente il complesso. Ma una volta persa la funzione originaria, gli uffici hanno richiesto delle connessioni orizzontali. La struttura a muri, così importante, divenne obsoleta: questo il motivo per il quale il piano sottotetto è stato disegnato come una sequenza di stanze unite da una lunga infilata di archi, per enfatizzare un ambito che non è un grande spazio, appunto, bensì una lunga infilata di spazi, perché i muri non si potevano ovviamente eliminare, al limite solo bucare. (sic.!) Non è possibile tornare indietro intervenendo sull’edificio: tutto ciò che si può fare è dare un ordine e una coerenza al “collage” degli accadimenti che si sono succeduti… Il nostro compito è stato pulire l’edificio cercando una coerenza" (A. Colombo 'Chipperfield a Venezia: restauro soft + architettura d'interni per le Procuratie Vecchie', Il Giornale dell'Architettura, 13 aprile 2022) Quindi, se non si capisce male, il restauro è pulizia …. certo pesantina come pulizia…!

  
IL CANTIERE

Se queste sono le incredibili motivazioni culturali che il progettista ha dato del suo restauro, nella ricca pubblicazione ci sono due paragrafi dedicati al cantiere. Pensavo almeno qui di trovare informazioni tecniche sulle soluzioni operative di un cantiere così importante, delle argomentazioni sulle scelte costruttive, sull’organizzazione delle fasi di lavoro, che a Venezia sono sempre complesse, sugli approvvigionamenti dai canali, che in quella zona sono particolarmente lontani, sul rapporto tra le nuove enormi strutture in acciaio del tetto e le gracili murature originarie (quelle poche rimaste) dei piani sottostanti, sugli impianti tecnologici e sulle modalità del loro inserimento, su come è stata risolta la sismica e su tutte le problematiche che chi opera nel restauro ben conosce. Invece, nulla di tutto ciò, nessuna considerazione tecnica, nessuna informazione ma una successione di pagine senza alcun contenuto concreto solo vuota retorica; ci si chiede cos’è un cantiere, si approfondisce l’etimologia della parola, si fanno scontati e generici paragoni tra il restauro e la medicina, riferibili a tutti i cantieri del mondo dal restauro alle costruzioni navali e dall’ingegneria all’architettura.

Nelle considerazioni sul cantiere espresse in un saggio specifico di Zampieri e Billa si susseguono affermazioni del tipo “Le varie parti del corpo di fabbrica sono state trattate al pari di organi e le operazioni sono state affrontate con varie tecniche chirurgiche (la demolizione sic.) , non perdendo di vista l’organismo architettonico nel suo complesso [...] Le operazioni per gli organi quali le pareti ricordano la chirurgia estetica (l’aumento di volume sic.), attraverso interventi di ricostruzione a scopo sia estetico sia funzionale” (Ibid p.54). Questo è tutto, non si spiegano i materiali utilizzati, come si è effettuata l’impermeabilizzazione dei piani terra, le caratteristiche dei getti delle opere in c.a. se sono stati confezionati in cantiere o con l’approvvigionamento dalla betoniera trasportata su chiatte, non si capiscono i legnami nuovi di che essenza siano, come siano state verificate le poche strutture originali rimaste, ecc.; insomma, non viene spiegato tutto ciò che, chi voglia illustrare un cantiere, deve mettere a disposizione del lettore per farlo partecipe dell’importante esperienza svolta.

Corredano l’argomento del cantiere una nutrita serie di immagini fotografiche a tutta pagina non commentate, in successione illogica e assolutamente inutili a spiegare e far capire. Anch’esse di una vuota banalità illustrano una betoniera, una scala, un sacco di cemento e danno l’idea di essere state e assemblate all’ultimo per riempire pagine poco prima di andare in stampa.
Nei contributi sul cantiere, quindi, i grandi assenti sono le strutture, i materiali, le finiture e le tecnologie realizzative, in pratica il cantiere.

 

LA PUBBLICAZIONE
In tutte le pubblicazioni che coronano gli interventi di restauro, nelle quali giustamente l’equipe dei professionisti e personalità coinvolte vogliono illustrare con orgoglio il lavoro svolto, si mettono in luce gli approfondimenti storici dalle origini fino alle trasformazioni recenti del monumento, le ricerche d’archivio che si diramano nei mille rivoli dell’approfondimento storico, si portano le letture stratigrafiche degli elevati murari, i molteplici saggi stratigrafici sulle superfici, ecc. Ancora, si illustrano la diagnostica scientifica di superfici e strutture statiche, si pubblicano con giusta soddisfazione i rilievi strumentali che oggi consentono qualità straordinarie collegandosi perfino alla manutenzione futura, si illustrano mappature e legende di conservazione, ecc.. Si presenta in sintesi tutto quel corpo di conoscenze e valutazioni preliminari che mette progettisti, controllori ed esecutori nelle condizioni di calibrare attentamente tutti gli interventi per darvi spessore e qualità.
Nulla di tutto ciò si trova nella pubblicazione.

Le presentazioni iniziali del volume sono giustamente dei vertici di A.G., poi del Ministro della Cultura, del Presidente della Regione, del Sindaco e anche quella del Patriarca e, tra questi, emerge significativa l’assenza di quella del Soprintendente.

Il testo è curato da L. Molinari, architetto e docente di Progettazione Ambientale, disciplina notoriamente affine al Restauro Architettonico; probabilmente una scelta voluta proprio per non parlare mai di restauro perché sarebbero andati in crisi tutti i fondamenti culturali dell’intervento, ammesso che esistano.

Molinari descrive, conduce interviste, interroga, interloquisce con vari personaggi più o meno coinvolti nella Città riguardo a temi del tutto estranei al restauro delle Procuratie Vecchie; si parla del ruolo di Venezia, del futuro della Città, della fuga dei residenti, del ruolo dei ristoratori (non restauratori), dei giovani ecc., tutti argomenti che nessuna attinenza hanno con il tema del nefasto intervento. Ci sono note storiche utili a qualche comitiva di americani in sosta sulla Piazza sottostante, note di colore locale sul ruolo dei “caffè”, sulla figura di dorsetta la dogarina, e su l’époque balneare del Lido, tutti argomenti di grande spessore….

Riguardo all’intervista di Molinari al progettista ho detto più sopra. Da questo mare di considerazioni superficiali si eleva la figura di Renata Codello. Architetto, già Soprintendente della Città e docente di Restauro, che snocciola in una intervista tutta la sua profonda conoscenza del contesto veneziano sia sociale sia soprattutto tecnico e costruttivo. Come sempre intelligente, preparata e di straordinaria esperienza è un piacere leggerla anche se dribbla con tecnica collaudata il tema specifico dell’intervento.

  
LA MORALE
Più che di morale si dovrebbe parlare di intervento a-morale per più motivi.
Il primo perché fa scuola, perché legittima 10,100,1000 altri interventi analoghi in quanto ognuno, architetto o committente, si sentirà legittimato a procedere in tal modo demolendo e ricostruendo con aumento di volume e di superficie utile i monumenti più importanti di ogni città.

Il secondo perché delegittima tutto l’operato degli enti di tutela che veramente non si sa come possano imporre conservazione con la mano destra e demolizioni gratuite con la sinistra. Qual è il criterio? Se si è archistar si viene giudicati con la mano sinistra e se si è normali architetti con la destra? Ci autoproclamiamo quindi tutti archistar! Potrebbe essere una soluzione.

Terzo perché si capisce che in Italia se il committente è A.G. si aprono le porte a qualsiasi opportunità ma se è la signora Pina queste si chiudono sempre e mi fermo qui.

Ultimo, ma forse più importante: il Restauro potrà essere ciò che ognuno crede, è convinzione che non ci sia un pensiero unico e dominante ma diverse interpretazioni e tendenze, ma è una disciplina che ha dei fondamenti culturali solidi, una evoluzione del pensiero di grande tradizione, una storia lunga, si basa su una letteratura vastissima, su importantissimi documenti internazionali, nazionali e su un codice dei beni culturali che tutti osservano. Tutto ciò costituisce la cultura del progettista, del soprintendente, del docente e dell’operatore e fa si che nel nostro Paese il patrimonio culturale nel complesso si sia conservato. Sono profondamente convinto che per operare con spessore e qualità su monumenti di interesse mondiale si debba riconoscersi in questa cultura e non ignorarla, si debba confrontarsi invece di nascondersi ostentando superiorità che, invece, denota ignoranza.
    
Cesare Feiffer