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"Oi ndemo a veder i pin floi"
I 35 anni dal concerto dei Pink Floyd a Venezia sono l’occasione per una riflessione sui limiti e sui modi della cosiddetta valorizzazione del Patrimonio sia esso città storica, borgo, paesaggio o singolo monumento architettonico. Oggi queste iniziative si vorrebbero dilatare a dismisura, puntando più alla spettacolarizzazione, all’esasperazione scenografica, sugli effetti speciali illuminotecnici, sonori, e anche ricostruttivi di realtà mai esistite piuttosto che organizzare la loro tutela in modo più raffinato, colto e anche pragmatico.
"Oi ndemo a veder i pin floi"
The 35th anniversary of the Pink Floyd concert in Venice is an opportunity to
reflect on the limits and ways of the so-called valorization of Heritage, whether it be a historic city, village, landscape or single architectural monument. Today these initiatives would like to expand beyond measure, aiming more at spectacularization, scenographic exasperation, special lighting and sound effects, and even reconstructions of realities that never existed, rather than organizing their protection in a more refined, cultured and even pragmatic way.
In questo caldissimo mese di luglio ricorrono i 35 anni di quello che è rimasto nella memoria come una specie di catastrofe, di un tentato suicidio di una città che non seppe, per incapacità degli amministratori, organizzare l’assalto dei 200/250 mila fans dei Pink Floyd arrivati a Venezia in Piazza San Marco per quello che è stato definito il concerto del secolo.
L’ideazione, la gestione e l’organizzazione nel contesto monumentale furono le peggiori possibile, tant’è che il titolo de Il Gazzettino del 18 luglio 1989, ossia di due giorni dopo, fu “Mai più così”, pubblicando una foto sconvolgente a tutta pagina della Piazza ricoperta letteralmente di rifiuti di ogni genere, ragazzi che dormivano nei sacchi a pelo, persone che giravano spaesate in quella che sembrava una discarica con sfondo monumentale…
Il Patrimonio Storico e Architettonico della Città più bella del mondo usato come una quinta per un concerto, al pari di una scena teatrale per valorizzare un evento musicale, in se’ fantastico, ma che non avrebbe dovuto svolgersi lì.
Si è trattato del peggior uso del Patrimonio Culturale mai attuato nel nostro Paese da parte di un’Amministrazione irresponsabile, sciatta, paurosa di compiere scelte e per questo giudicata anche colpevole a tutti i livelli non solo dal mondo della cultura ma anche dalla Corte dei conti.
Le pressioni perché il concerto si svolgesse non erano solo degli organizzatori, della RAI, che dava l’evento in diretta mondiale con interessi economici facilmente immaginabili, ma soprattutto di un certo mondo della politica che voleva fortemente a Venezia l’Expo 2000, incurante dell’impatto fisico e sociale che questo poteva avere nella città storica e nella sua Laguna. Profonda influenza aveva allora a Venezia il suo potentissimo Doge, Gianni De Michelis sostenitore di questo genere di iniziative connesse a un concetto di valorizzazione del Patrimonio che allora come ora lo volevano più legato al mercato, alla rendita economica, al consumo mordi e fuggi, piuttosto che alla cultura e ai valori alti che ben esprime l’Articolo 9 della nostra Costituzione. Non è da dimenticare che nel lontanissimo ’85, sempre l’on. De Michelis sosteneva che “le risorse necessarie alla conservazione non ci saranno mai finché non ne viene evidenziata la valorizzazione economica. Le risorse non si avranno infatti mai semplicemente sulla base del valore etico-estetico della conservazione, [ma] solo nella misura in cui il bene culturale viene concepito come convenienza economica”. Sono parole che, passando per il concetto di “petrolio dell’Italia” e “giacimenti culturali”, hanno portato alle recenti proposte di chi vorrebbe unire il Ministero per i Beni Culturali a quello del Turismo o ancor peggio a quello dello Sviluppo Economico.
Anche per questo è interessante ripercorrere una sintesi di quanto successo in quel lontano ’89, perché i più giovani non possono ricordare e molti tra i diversamente giovani, con i quali ho recentemente avuto scambi in merito, hanno rimosso il disastro e, grazie alla sintesi deformata che trasmettono i social, resta nella memoria qualche spezzone del video del concerto come se fosse enucleato dalla Città.
Nella primavera di quell’anno a Fran Tomasi, noto organizzatore di eventi in quegli anni, veneziano d’adozione, viene l’illuminazione di tenere un concerto in Bacino di San Marco poco prima dei tradizionali fuochi che festeggiano la notte “magica” del Redentore. Uomo geniale Fran, che conoscevo bene e per il quale seguivo dei restauri, ma che spesso bisognava legare a terra perché volava talmente alto da diventare irraggiungibile.
La proposta fa subito scalpore, la cittadinanza si divide tra favorevoli/contrari e divamparono le polemiche. Ciò che lascia tutt’ora perplessi è lo scarica barile che è avvenuto a tutti i livelli dell’amministrazione Comunale, perché la proposta del concerto non è stata mai affrontata seriamente e professionalmente ma continuamente posticipata. Non ci si è chiesti nemmeno cosa avrebbe portato un tale uso del Patrimonio Culturale, tant’è che non c’è stata nessuna previsione del numero dei partecipanti, c’era chi ipotizzava 50-70 mila, in realtà il numero dei 200 mila è stato abbondantemente superato. Così incredibilmente l’autorizzazione per tenere lo spettacolo fu firmata poco prima dell’inizio dell’evento da amministratori-politici a confronto dei quali Ponzio Pilato era Cuor di Leone.
Intanto la RAI e la macchina organizzativa erano pronti per dare lo spettacolo in mondovisione dopo mesi di pubblicità incalzante.
Si è arrivati quindi alla mattina del15 luglio, poco prima che iniziasse il concerto, per scoprire che la condizione imposta dalla Soprintendenza era quella di non installare i W.C. chimici perché alteravano l’immagine dei luoghi monumentali… per il resto via libera a tutto.
Lo stesso giorno, la gigantesca architettura del palco galleggiante, montata su chiatte fatte arrivare da Trieste, completa di scena e retropalco tecnologico, viene trasportata e ancorata tra l’Isola di San Giorgio, la Chiesa del Redentore e la Piazza San Marco. Gli architetti ricordano che in quel luogo quasi dieci anni prima sorgeva il ben più raffinato e compatibile esempio di architettura effimera galleggiante: il Teatro del Mondo di Aldo Rossi.
Sin dal mattino la marea umana comincia a riversarsi in Città e invade (pacificamente) tutti gli spazi della Riva degli Schiavoni, della Piazza San Marco e dei Giardini Reali, compresi i tetti dei pontili dei vaporetti; in molti si arrampicarono addirittura sui ponteggi delle Prigioni per avere una visuale migliore. Non c’era nessun controllo.
Oltre duecentomila persone prendono d’assalto i luoghi prospicienti il palco e la Città di Venezia arriva vicina al carico di rottura. Tutti gli esercizi commerciali chiudono per timore della folla incontrollata, salvo pochi che speculano sull’evento.
E’ mancato tutto in termini di organizzazione e gestione di una massa così elevata di visitatori: la previsione razionale dei flussi in arrivo e partenza, i mezzi pubblici di trasporto che hanno terminato le corse al pomeriggio per riprenderle al mattino dopo; non si sono pensati dei treni speciali, dei servizi autobus o di vaporetti che collegassero l’Isola alla terra ferma non solo di Mestre ma di Fusina, di Jesolo o di Chioggia; non era stato previsto un servizio d’ordine, non c’erano transenne per canalizzazione delle ondate di folla, nessuno si era preoccupato di dotare gli spazi di zone attrezzate magari distanti dal contesto monumentale con gabinetti chimici, servizi di assistenza medica e sanitaria, oppure dei semplici distributori d’acqua. In questo senso i 200 mila spettatori hanno dato uno straordinario segnale di maturità e di autocontrollo senza il quale la situazione avrebbe potuto degenerare.
Il risultato alla fine dell’evento sono state tonnellate di rifiuti di ogni genere distribuiti ovunque, che nessuno si è premurato di raccogliere per due giorni a causa dello sciopero degli spazzini, il ricordo biologico di migliaia di persone che, mancando ogni tipo di servizio, hanno lasciato ovunque, una folla sbandata che ha vagato fino all’alba a piedi per raggiungere la terraferma dove avevano lasciato l’auto, migliaia di persone costrette a dormire dove capitava in attesa dei treni la mattina dopo.
L’incubo finalmente finisce e la polemica dura per anni e coinvolge tutti, le foto di queste pagine sono più che mai eloquenti e aiutano a ricordare quell’uso improprio del Patrimonio Culturale per un evento commerciale che avrebbe potuto essere meglio organizzato nelle spiagge del litorale nei parchi della gronda lagunare, nello stadio ma non nel delicatissimo contesto monumentale veneziano.
Sicuramente è stato detto tutto sul concerto dei Pink Floyd e soprattutto sul day after grazie al quale, si fa per dire, saltò fortunatamente anche il famigerato Expo 2000 che Venezia non avrebbe potuto reggere.
Credo comunque sia utile ripercorrere con lo sguardo queste immagini da molti dimenticate perché da un lato rimandano direttamente all’abuso del patrimonio culturale, all’inadeguatezza della classe politica, all’evanescenza dei vertici del Ministero, che ora si chiama della cultura (ma allora non ricordo come si chiamava visto che avrà cambiato una decina di denominazioni), che sono questioni più che mai attuali.
Dall’altro lato, le immagini dovrebbero far riflettere sui limiti e sui modi della cosiddetta valorizzazione del Patrimonio sia esso città storica, borgo, paesaggio o singolo monumento architettonico, che oggi si vorrebbero dilatare a dismisura, puntando più alla spettacolarizzazione, all’esasperazione scenografica, sugli effetti speciali illuminotecnici, sonori, e anche ricostruttivi di realtà mai esistite, piuttosto che organizzare la loro tutela in modo più raffinato, colto e anche pragmatico.
Ripensandoci, a distanza di anni da quell’evento si può anche ricavare la considerazione che il Patrimonio storico e architettonico della Nazione non dovrebbe essere considerato il petrolio d’Italia, perché è una visione che penalizza la cultura e la sua valorizzazione, non dovrebbe misurarsi solo in base alle presenze, ai biglietti venduti e nemmeno perché Madonna celebra il suo compleanno.
I miei primi dischi da adolescente erano quelli di Bob Dylan e i cantautori di quel filone, i Pink Floyd sono arrivati un po’ dopo ma sono rimasti tra i preferiti, forse anche perché erano ex studenti di architettura… chissà. Ma quella sera al concerto non ho voluto andare, pur abitando a poche centinaia di metri, mi sembrava di oltraggiare la mia Città, di contribuire a quel consumo commerciale e a quel disastro peraltro ben fotografato dai Pitura Freska e Skardy nella loro canzone “Pin Floi”.
Cesare Feiffer